Parco degli Acquedotti

Cliente: Ministero per i Beni Culturali - Soprintendenza Archeologica di Roma
Città: Roma
Paese: Italia
Provincia: RM

RESTAURO E CONSOLIDAMENTO STRUTTURALE

STORIA
L’acquedotto Claudio, voluto dall’imperatore Caligola che iniziò i lavori nel 37 d.C. e completato dall’imperatore Claudio nel 54 d.C., era lungo 69 km circa e veniva alimentato da un’acqua assai pregiata, ritenuta inferiore solamente all’acqua Marcia. Senza ombra di dubbio fu considerato sin dall’antichità una grandiosa opera di ingegneria idraulica, che riforniva l’intera città di Roma: le arcate, sostenute da straordinari pilastri, arrivano a raggiungere l’altezza massima di 27,40 metri in località Quadraro e presso la località Capannelle veniva addirittura sovrapposto dal condotto dell’acquedotto Anio Novus (nuovo Aniene) mentre per tutto il restante tratto fino a Roma, l’altezza media si manteneva tra i 17 e i 22 metri.
Sin dall’antichità l’acquedotto Claudio è stato sottoposto non solo alle opere di ordinaria manutenzione, ma anche e soprattutto ad interventi di consolidamento per i frequenti cedimenti statici: così, di volta in volta furono aggiunti speroni murari, fasciature in laterizio, sottarchi di rinforzo. A partire dal XVI secolo iniziò tuttavia una sistematica spoliazione dei suoi blocchi di tufo e peperino per il reimpiego come materiali da costruzione, che ha minato l’integrità del manufatto, lasciando in alcuni tratti solo miserevoli monconi in mezzo alla campagna.

INTERVENTO
La porzione di acquedotto restaurata è costituita da due fornici affiancati, isolati dalle restanti arcuazioni. Il primo è costituito da due archi sovrapposti, poggianti su piloni in opera quadrata di peperino nella parte inferiore e di tufo in quella superiore: l’intradosso è in muratura, composta da pezzate di tufo legato con malta di calce e pozzolana, ed è rivestito da cortina muraria in laterizio. Nella seconda arcata, strutturalmente analoga alla prima per tecnica costruttiva, parte dell’opera quadrata è stata rifasciata in opera laterizia con ricorsi in travertino.
L’intera struttura è in pericolo localizzato di crollo, dovuto sia alle lesioni sulla parte in pietra causate dalla vetustà dell’opera, dall’azione degli agenti atmosferici ed anche dai microsismi cui la zona è soggetta, sia da precedenti crolli, fenomeni di erosione e spoliazioni che hanno diminuito la sezione della parte basamentale resistente a compressione.
Si è pertanto intervenuti con la messa in sicurezza mediante puntellamento delle porzioni di muratura in pericolo di crollo, il consolidamento, la reintegrazione dei nuclei in muratura, riportati alla sezione originaria e rivestiti con cortina laterizia (realizzata in leggero sottosquadro per differenziare le parti originarie da quelle restaurate), il collegamento attraverso incatenamenti trasversali delle murature laterali ed infine l’irrigidimento delle strutture arcuate, attraverso la realizzazione una doppia serie di incatenamenti longitudinali della lunghezza di 24 metri. Le lesioni che interessavano il materiale lapideo sono state consolidate con iniezioni e successivamente stuccate per riportare la pietra all’aspetto originario.